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Ospitavo un falegname a quei tempi, erano i primi 2000, e il nostro era il lato “sfigato” dei murazzi.
L’aria era impregnata di polvere di segatura e gli spazi ricolmi di tavole e vecchie travi, ma tra la confusione ed i mobili rotti qualcosa mi diceva che ero destinato ad essere ben altro.
In quegli anni bazzicava dalle mie parti un uomo col cappello, veniva a trovare il falegname e mi lanciava sempre degli sguardi sognanti ed ammiccanti. Era un uomo ruvido e diretto, ma anche un sognatore, aveva fatto la storia ed era per molt* un simbolo, rappresentante e attore della movida torinese, eppure di energia ne aveva ancora. Lui sapeva cosa c’era nel mio destino, ci aveva visto lungo, ci aveva sentito un battito incessante, quello dei cuori che animavano la notte dei murazzi, quello della musica.
Eccolo lì il mio destino, era proprio la musica.
L’uomo col cappello fece un offerta al falegname e acquisì di lì a poco quell’agglomerato di detriti e vecchi mattoni che ero allora.
All’inizio fungevo da deposito, era difficile dare spazio a nuove idee con tutto quel trambusto accumulato, e nel frattempo quello scellerato offriva birrette con un banchetto clandestino all’ingresso, tutt* si chiedevano cosa ne avrebbe fatto di quel posto sporco e incasinato. A quei tempi i murazzi erano un via vai di anime variegate, sempre al massimo della loro capienza, un fiume lungo il fiume, giovani di belle speranze, viandanti di provincia, dopolavorist*, ambulanti, intellettuali e anti-intellettuali, affamat* e assetat*, di vita o di malavita.
Sono stato laboratorio, cantiere, rifugio, sala prove all’insaputa dell’uomo col cappello, e poi un bel giorno è arrivato il momento di dare una bella ripulita, e progettare seriamente il mio futuro.
La musica tornava sempre. E anche le birrette. E di lì a poco presi forma.
Eravamo pochi ma buoni “quelli del lato sinistro”, c’era il Dottor Sax, il The beach, la Lega dei furiosi e a breve, mi sarei fatto spazio anche io, battezzato in ARCI come Magazzino sul Po, ma riconosciuto dai più con il soprannome di Gianca 2.
Riposavo di giorno e mi rivelavo solo di notte. Ospitavo orde di persone assetate di vita, e non solo. Cuori agitati, anime inquiete, piedi scalpitanti, baci sudati e ogni tanto baruffe da far west. Ma era tutto scritto, era quella la mia sorte. Di lì a poco all’uomo col cappello si unì un gruppo di giovani visionari e visionarie della notte, erano djs, barist*, PR e tesserai*, ognuno portava un pezzetto dei propri sogni e intanto imparava da me qualcosa, era chiaro che il mio destino comprendeva anche loro.

C’era un certo non so che di magico nell’aria, nelle persone, nel modo in cui le notti si intrecciavano, nelle chiacchiere, nei legami, ma dovevi esserci per capire. Così nel tempo si andò delineando la mia essenza, volevo essere un luogo di ritrovo, volevo essere di tutte le persone che decidevano di calcare quella pietra, e riconoscere loro la possibilità e il diritto al divertimento.
I primi anni furono leggeri e spensierati, con qualche inciampo certo, e chi non ne ha? Eppure ho sempre trovato il modo di rialzarmi, di reagire, di resistere.
La notte è sempre stato il mio momento prediletto, si balla fino all’alba, i corpi e i cuori si mischiano, nessuno vuole che finisca, tranne i baristi e le bariste stanch* morti, fortuna che a chiusura ci scappa sempre la colazione, una poesia che dura tutt’oggi, perché certe cose non cambiano.
Quando l’uomo col cappello decise di fare un passo indietro e godere di un pò di sana e meritata vacanza all’estero, quel famoso gruppetto di visionar* prese le redini della faccenda. Anche loro ci avevano visto lungo come lui, addirittura lunghissimo, e con loro mi aprii alla possibilità di vivere anche di giorno.
Poco dopo l’amministrazione decise che non era più tempo di baldoria e movida, ed emanò la chiusura e lo sfratto di gran parte delle arcate lungo il fiume, ma io rimasi. Doveva compiersi il mio destino e le persone che avevano creduto in me ci credevano ogni giorno di più.

Non fui mai costretto a cambiare per piacere, ma a mutare per migliorarmi. I miei mattoni ne hanno viste e vissute tante di storie, e il mio compagno per la vita, il fiume, ci ha sempre tenuto a ricordarmi che tutto scorre, ma la bellezza resta. E io di bellezza ne ho vista tanta, e ne vedo ancora. Ho visto la mia gente crescere, cambiare, ho visto amori nascere e grandi amicizie finire, ho visto cose brutte e altre bellissime, ho visto le albe nei weekend e i tramonti del mercoledì con gli studenti, ho cantato, ho assorbito il suono delle chitarre, vibrato coi bassi e tremato al rombo delle percussioni, e del 15 su Piazza Vittorio.
Ho patito le piene del fiume e la solitudine durante il lock down, sono stato casa, ufficio e ricovero, palco e nascondiglio, e chissà cos’altro mi riserva il futuro.
Oggi mi sento più vivo che mai, compio vent’anni e non vedo l’ora di festeggiarli con chi ha scritto questa incredibile favola metropolitana tra le mie mura, sono loro la mia forza, le persone e le iniziative che ospito: i concerti e le serate, quei momenti sudati che da sempre mi caratterizzano, a cui si sommano i talk, le presentazioni, i tavoli di dibattito, per sviluppare insieme un pensiero critico e costruttivo sulla realtà che ci circonda, e poi c’è il teatro, le jam session, gli sportelli di supporto e una miriade di momenti spontanei di collettività e scambio, che sono la mia vera ricchezza.
Benvenut* al Magazzino sul Po voi che entrate, per la prima o per l’ennesima volta,
abbiate cura e rispetto sempre,
per me e per la mia gente,
perché insieme
siamo storia.